La musica come principio organizzativo fondamentale della relazione

La musica come principio organizzativo fondamentale della relazione

Nel suo saggio L’Inconscio Sonoro, Ludovica Grassi ipotizza che sia la musica che la psiche funzionino in base a processi analoghi: entrambe sono basate sul tempo e sui meccanismi della ripetizione, dell’imitazione, della variazione, del silenzio e dell’assenza, e il modo di operare della musica può aiutarci a comprendere i processi emozionali e relazionali. La funzione del ritmo, si rivela fondamentale perché potrebbe costituire la radice stessa della psiche attraverso l’attività di elaborazione e sintesi che contribuisce allo sviluppo dei processi cerebrali (Grassi, pag. 35). Indispensabile alla nascita mentale, a partire dalla vita fetale il ritmo costruisce le basi per la continuità dell’esperienza e comprende l’attesa di ciò che si deve ripresentare nell’alternanza di presenze e assenze, di suoni e silenzi, di stimoli sensoriali forti e deboli, di anticipazione delle risposte, in un gioco a due dialettico con la madre fatto di conservazione e novità.

Jessica Benjamin, ne Il riconoscimento reciproco, afferma che il ritmo costituisce la base per interagire in modo coerente, così come per coordinare le parti interne della psiche. Secondo la studiosa, il ritmo può essere considerato la base della creazione dei modelli relazionali,  un principio di sintonizzazione affettiva e di adattamento all’altro per condividere gli scambi relazionali in una risonanza affettiva che possiamo definire come ritmicità (Sander 2002). C’è quindi una dimensione armonica e musicale in questa relazione vitale, e il gioco interattivo assomiglia all’improvvisazione musicale in cui entrambi i partner seguono contemporaneamente una struttura di adattamento reciproco guidata dal ritmo. (Benjamin, 2019)

Gli stimoli ritmici sono originariamente corporei e costituiscono l’involucro sonoro-somatico del bambino nella prima orchestra del grembo materno.  «La continuità dell’esistere è un tempo ritmico» afferma la Grassi. Quando alla nascita si interrompono gli elementi di continuità che costituivano la vita fetale, è necessario garantire un ambiente di accudimento che assicuri il ripetersi periodico di stimoli sensoriali, azioni, presenze, affetti, perché la psiche del bambino si possa stabilire nel corpo senza scissioni o sfasamenti. In una prospettiva relazionale, Winnicott descrive il tempo dell’attesa della madre come il tempo della sua assenza: se la durata dell’assenza è superiore alla capacità del bambino di tollerare la sua mancanza, si può verificare un mancato sviluppo dei processi transizionali assieme ad una compromissione del suo funzionamento psichico. La misura del tempo è quindi legata al senso di unità con la figura materna che risponde ai suoi bisogni e alla possibilità di produrre e di conservarne l’immagine. Susan Maiello (2011) attribuisce alla voce materna, caratterizzata dalla costanza qualitativa e dalla discontinuità nel tempo, la funzione di introdurre il principio della differenza già nella vita prenatale.

Attesa e ripetizione sono elementi temporali costitutivi del ritmo che confluiscono nell’attività psichica di elaborazione e sintesi e che contribuiscono allo sviluppo dell’attività mentale. E in questo contesto in cui continuità e mancanza costituiscono un ruolo centrale, un piccolo inciso va riservato al silenzio, la cui funzione è fondamentale in musica come nella vita. Il silenzio può essere un respiro, è uno spazio che simboleggia il vuoto, l’assenza, la sospensione, l’attesa del ritorno, può dare luogo alla rappresentazione. Il silenzio è una comunicazione, un bisogno di ascoltare o di essere ascoltati e favorisce il contatto con il sentire. Nel silenzio ci si apre all’incontro con l’altro, all’intimità della relazione, ma può essere anche un segno di chiusura, rottura, frustrazione, estraniamento, indifferenza.

Si può riconoscere alla reiterazione ritmico-melodica un contributo fondamentale nell’apprendimento del controllo dell’assenza della madre come oggetto desiderato, mediante alternanza di presenze e assenze, suoni e silenzi, tempi forti e deboli, nonché anticipazione delle risposte materne. (Gardini, pag. 71). Nel gioco dei rispecchiamenti sonori nei primi mesi della sua vita post natale, il bambino e la madre stabiliscono un gioco a due dialettico fatto di conservazione e novità, dove la ripetizione è l’asse portante nell’affettività. «Ritmica continuità dell’esperienza ed esperienze di accordo armonico sembrano dunque indispensabili alla nascita mentale ma altrettanto indispensabili sembrano le esperienze di discontinuità. Disarmonie e imprevisti sembrano indispensabili perché il piccolo possa accedere al mondo dell’umano e dell’animato». (Baruzzi, 1985, pag. 252)

Le interazione madre-bambino sono letteralmente, non solo metaforicamente, musicali. In esse, ciò che conta non è l’effetto semantico: «Anche se dalla madre vengono usate parole semanticamente significative, esse vengono presumibilmente udite dal bambino come combinazione di suoni con particolari caratteristiche relazionali, non come messaggi verbali, e queste caratteristiche sono musicali» (Dissanayake 2000, p. 394). Il ritmo viene prima del significato. Il bambino, che ha memoria di percezioni acustiche (ritmo, prosodia) dall’epoca della vita intrauterina, è destinato a conoscere il mondo esterno solo in quanto vi ritrova qualcosa di già conosciuto prima di venire alla luce: in questa dialettica, suono e ritmo sono fondamentali.

Anzieu descrive l’esistenza di una pelle audio-fonica  che contribuisce alla costituzione di un sé unitario quale insieme psichico pre-individuale: è il “sé-pelle” sonoro che nasce dal bagno di suoni nel liquido amniotico in cui il bambino è immerso nella vita prenatale: stimoli ritmici corporei che dopo la nascita si arricchiscono costituendo il sé del bambino, il suo primo spazio psichico, diventando, da memoria cellulare, a memoria cerebrale.

Gli studi sul baby talk e sul motherese, il linguaggio utilizzato dagli adulti per rivolgersi ai neonati, come nelle filastrocche, nelle ninne nanne e nei giochi sonori che il bambino produce con le sue prime vocalizzazioni, evidenziano che è la specificità del loro ritmo, melodia e prosodia a svolgere un ruolo di primo piano nello sviluppo della reciprocità nella relazione primaria, attivando l’iniziativa sociale del bambino che a sua volta fa nascere e conferma l’identità del genitore: il punto di contatto sono quindi il ritmo e l’intonazione. Lo stile comunicativo del motherese si caratterizza per imitazione, ripetizione, ma anche per l’amplificazione delle espressioni affettive e dei contorni melodici, i timbri acuti, la semplicità della sintassi verbale e di un ritmo lento e cantilenato, oppure accelerato. «Questa specificità di ritmo, melodia e prosodia, svolge un ruolo cruciale nello sviluppo della reciprocità all’interno della relazione primaria, attivando l’iniziativa sociale del bambino che a sua volta fa nascere e conferma l’identità genitoriale». (Grassi, pag. 109)

In musicoterapia, questi presupposti teorici costituiscono la sorgente fondamentale nel rapporto tra il terapeuta e il suo assistito: se il funzionamento psichico si stabilisce da una matrice sonoro musicale, la stessa relazione terapeutica può dispiegarsi musicalmente, sia nella sua forma, sia nei contenuti. A livello formale e metodologico, impostando la relazione terapeutica affidandoci alla condivisione reciproca dell’esperienza nel suo manifestarsi e a una prospettiva che pone al centro la pregnanza del momento vissuto come fonte di cambiamento.  Possiamo prenderci cura dell’altro secondo i principi della risonanza intersoggettiva che includa la reciprocità affettiva e la condivisione dello stato emotivo. Così intesa la relazione paziente-terapeuta si presenta nelle forme del riconoscimento reciproco: condivisione dello stato, sintonizzazione, allineamento momento per momento delle intenzioni e dei sentimenti. A livello dei contenuti e del processo, questo riconoscimento implica un processo mediato dalle infinite possibilità che il suono e la musica ci offrono nel dare luogo ad una relazione reciproca coerente: entrare nel flusso ritmico melodico dell’altro, sintonizzandoci sulle sue espressioni comunicative non verbali nella condivisione degli stati affettivi. Un viaggio di ascolto, dialogo e reciprocità condivise, dove la musica entra in risonanza con l’essere umano in vibrazione che racconta la propria storia.

Marzia Da Rold

 

Bibliografia:

ANZIEU D., The sound image of the self. The International Reiew of Psycho-Analysis, 6, 1979

BENJAMIN, J., Il riconoscimento reciproco – L’Intersoggettività e il Terzo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019

DA ROLD M., La natura musicale degli scambi comunicativi – Intersoggettività tra psicologia e musicoterapia, Tesi di Laurea

DISSANAYAKE, E., The origins of music, Cambridge, MA, 2000

GARDINI M., Musica e Psicoanalisi – Tema con Variazioni, Edizioni Albo Versorio, Milano 2017

GRASSI, L., L’inconscio sonoro – Psicoanalisi in musica, Franco Angeli, Milano, 2022

IMBERTY, M,  La musica e l’inconscio. Enciclopedia della musica, In «Nattiez J.J., Bent M., Dalmonte R., Baroni M., (a cura di)», Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002

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